«Finora
non ne avevo mai parlato con nessuno, perché certe cose si tengono
dentro, ma anch' io ho attraversato penombre laceranti... La prima
esperienza depressiva, l' ho vissuta intorno ai trent' anni. Non era
successo niente di particolare, ma all'improvviso la mia sensibilità
si è accentuata, alterata. Del resto, la depressione nasce quando
vuole: situazioni interiori che fino a un minuto prima riuscivi a
contenere, ad armonizzare, a nascondere s' incendiano, si fanno
incandescenti... Con certi pazienti non si può lavorare, se non si
siano conosciute delle intermittenze depressive. O almeno non è
possibile immergersi nel loro dolore. Lo hanno detto altri prima di
me, grandi psichiatri come Bleuler o Schneider».
Per
chi conosce il suo lavoro, non sorprende più di tanto la
"confessione" di Eugenio Borgna, il più grande psichiatra
italiano. Ha scritto libri bellissimi su temi sempre uguali e sempre
diversi, sull' arcipelago delle emozioni che abitano la nostra vita
interiore - come la nostalgia e i sentimenti di colpa, l'
inquietudine e la disperazione, l' ansia e i rimpianti, le attese e
le speranze, la gioia e la solitudine. Leggendoli, mai una volta che
si avverta un distacco emotivo... Oggi Borgna ha 82 anni, seppure con
il cuore palpitante di un eterno puer, ma nella stagione basagliana
era in trincea, ed è lui che ha smantellato il manicomio femminile
di Novara. Primario emerito di Psichiatria all' Ospedale Maggiore di
quella città, insegna ancora da libero docente all' università di
Milano. Esce ora il suo nuovo libro e questa volta è del tutto
intuitivo coglierne l' essenza drammatica come "qualcosa"
che riguarda direttamente l' autore. Il tema è la follia, ma non
intesa in senso clinico, nelle manifestazioni esteriori. A metà tra
il saggistico e il letterario, qui la follia non mostra il suo volto
escluso e diventa piuttosto una grande metafora della condizione
umana: nelle derive di profonda sofferenza, ma anche nelle accensioni
creative. Con una citazione di Georg Trakl, geniale poeta austriaco,
questo libro - particolarmente intenso e struggente - s' intitola Di
armonia risuona e di follia (Feltrinelli, pagg. 210, euro 18).
Un
bel titolo, ma qual è il soggetto?
«È
la vita di ciascuno di noi, quando sia ferita dal dolore, a risuonare
di armonia e di follia. La fulminante intuizione di Trakl racchiude
il senso del libro, la diversa fondazione conoscitiva, descrittiva,
interpretativa della sofferenza. Il mio è un tentativo di cogliere
le radici umane della follia, che rifiuta le razionalizzazioni
spietate per cui solo la cruda calcolante ragione cartesiana può
confrontarsi con il senso della vita e tiene invece conto della
crepuscolare legge pascaliana che allude alla presenza del dolore
come una fatale compagna del nostro cammino... È una tesi
assolutamente insostenibile dire - come ha fatto, ad esempio, Ronald
Laing - che solo nella follia c' è vita. Guardarla invece come uno
specchio che rimanda anche una faccia diversa del nostro stare al
mondo, non presentarla solo come una cascata di sintomi uniformi,
automatici, stereotipici che dicono molto in ordine alla diagnosi ma
nulla sulle sue sorgenti interiori, è una riflessione che va aldilà
di ogni ideologia. Il mio viaggio nell' interiorità respinge
radicalmente quella dicotomia che vuole la follia come nonsenso
globale, completo, sistematico e la normalità come epifania assoluta
di valori e significati».
Per
l' ultimo Lacan, "tout le monde délire". Ma oggi dire che
"siamo tutti pazzi" è solo una banalità da
chiacchiericcio, un paradosso per tenersi alla larga da ogni
imperativo etico... Il suo libro non rischierà anche una lettura del
genere?
«Sarebbe
una lettura davvero semplificatrice, perché una cosa è dire che
"siamo tutti pazzi", altro è intendere la follia come
esperienza ineliminabile della vita, come una dimensione
metarazionale che modifica profondamente il rapporto con sé e con
gli altri ed è possibile cogliere solo sprofondando da palombari nei
mari inquieti dell' angoscia, dell' ansia, della tristezza, della
timidezza, della paura, dell' ipersensibilità... La vita può essere
tutt' altro che felice, se non è accompagnata dalla ricchezza umana
di certe ferite ardenti spesso considerate patologiche, come il segno
di qualcosa da normalizzare frettolosamente. Era già san Paolo a
scrivere che la debolezza è la nostra forza, ma oggi questa è una
verità difficile da accettare: non si concilia con i paradigmi
trionfanti della nostra epoca che ci vede gli uni estranei agli
altri, intimoriti e infastiditi dalla fragilità, che pure è una
possibilità umana dotata di senso».
"Come
se cadesse una stella filante,/ Milena, e nessuno la vedesse"...
Già la dedica del libro contiene qualcosa di molto intimo. La
domanda sarà forse sconveniente, ma chi è Milena?
«Non
la trovo sconveniente, è una domanda bellissima. Milena è stata la
compagna della mia vita, segnata da una malattia fisica
autoimmunitaria che l' ha portata alla morte, dieci anni fa. È stata
lei, mia moglie, a dare il senso più profondo al mio vivere,
lacerato dal suo male e poi dalla sua scomparsa. Se n' è andata a
sessantatré anni, vivendo più a lungo di quanto i migliori
ematologi prospettassero... E certo, quando una vita stellare si
spegne, somiglia appunto a una stella filante che continua a vivere
soltanto nel cuore e nell' immaginazione di chi si è accompagnato a
quella vita. Avevo 37 anni quando l' ho conosciuta, la sua terribile
malattia non si era ancora manifestata. Da allora la mia
partecipazione emozionale alle esperienze del dolore, ma anche della
nostalgia e del ricordo, l' identificazione nei destini di quanti
soffrono si è accentuata... E oggi che sono immerso in una
solitudine infinitamente più acuta e desertica, quello che più temo
è il silenzio della memoria».
Cosa
l' ha aiutata, cosa l' aiuta?
«Intanto
non ho mai preso antidepressivi, che andrebbero prescritti con assai
meno patologica frequenza di come viene fatto oggi... Ho usato invece
ansiolitici, perché nelle depressioni ci sono anche schegge
ansiogene, e quelle sì, vanno controllate. In passato c' era
innanzitutto Milena ad aiutarmi con la sua presenza, poi ci sono
sempre stati i pazienti, anzi le pazienti, visto che mi sono occupato
soprattutto di follie femminili...E poi la musica, io non so proprio
vivere senza. Non scriverei, non penserei, forse non mi salverei
nemmeno senza la musica».
Cosa
ascolta, soprattutto?
«Beethoven,
Schubert e con un salto di cent' anni, Gustav Mahler - in comune
hanno avuto una disperazione senza fine».
Professore,
di recente un titolo di Panorama la definiva "il guru della
psichiatria italiana". Lei si sente così? E chi sono i suoi
proseliti?
Borgna
ride, finalmente: «L' ho trovata una definizione quanto mai
infelice, assurda, intollerabile, quanto mai lontana non dico mille
miglia ma astralmente da me. Talmente inconciliabile, talmente
inaccettabile...».
LUCIANA
SICA
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