sabato 12 giugno 2021

democrazia nella Chiesa – mandati a termine

Recentemente la congregazione vaticana che si occupa di movimenti ha stabilito che alla guida di un movimento o di una associazione ecclesiale non si possa restare per più di 10 anni. Questo ha fatto esultare alcuni “nemici” di Carron, che hanno intravvisto come prossime le dimissioni di Carron dalla guida di CL, che secondo loro egli avrebbe esercitato in contrasto col carisma di don Giussani.
Osservo quanto segue:

  1. Questa decisione riguarda tutti i movimenti e le associazioni ecclesiali, non solo CL. Già questo dovrebbe raffreddare un po’ l’entusiastica interpretazione di essa come siluramento di Carron. In secondo luogo non si capisce in base a quale logica papa Francesco dovrebbe voler silurare Carron, che è uno dei suoi più fedeli e fidati amici, che ha sempre cercato di assimilare cordialmente il magistero di questo papa.
  2. In secondo luogo non si tratta di una decisione del tutto nuova. Due sono i suoi elementi ispiratori: la collegialità e, come suo corollario e strumento, il limite temporale dei mandati di responsabilità La collegialità non è un elemento estraneo alla vita della Chiesa, a patto che sia intesa nel rispetto del suo carattere soprannaturale, che la rende diversa da una “normale” democrazia profana, politica. Ma, a tale patto, la collegialità c’è sempre stata: basti pensare ai Concili. Nei Concili si trovano vescovi, tendenzialmente di tutto il mondo, si confrontano e poi votano. E infatti le scelte fatte da un Concilio, tipicamente i suoi solenni documenti, possono anche non piacere a qualcuno. Ma pensiamo anche alla scelta di un nuovo Sommo Pontefice: non è designato o cooptato dal papa che lo ha preceduto, ma è eletto dal collegio cardinalizio, che si trova insieme, si confronta e poi vota. Democraticamente. L’importante è tener conto del carattere soprannaturale, e quindi carismatico, della Chiesa, che, ripeto, non è una democrazia nel senso mondano e politico del termine. In questo senso le decisioni dovrebbero essere precedute non da una discussione (più o meno ideologica e astratta), ma da un dialogo (basato sull’esperienza integrale di ognuno, che dovrebbe porsi in atteggiamento di umile ascolto di quanto lo Spirito Santo vuole = con attenzione alla realtà in tutti i suoi fattori). La discussione mira alla vittoria, il dialogo mira all’intesa. Dove, il più possibile, nessuno (che sia in buona fede) si senta sconfitto.
    Quanto al limite temporale anch’esso non è una novità assoluta: esso è presente ad esempio nel passaggio dagli ordini monastici, dove ogni monastero è guidato da un abate che è tale a vita (semel abbas, sempre abbas), agli ordini mendicanti, francescani e domenicani, all’inizio del XIII secolo. Questi ultimi vivono in conventi il cui responsabile non è un abate nominato a vita, ma un priore, nominato per un tempo limitato. E ciò dentro il contesto di un passaggio da una cultura alto-medioevale dominata dalla idea di paternitas e di obbedienza, a una cultura basso-medioevale dominata dall’idea di fraternitas e di una maggiore responsabilità personale. Per cui il priore francescano o domenicano è un po’ meno padre e un po’ più fratello (maggiore), un primus inter pares. Il limite temporale di un ruolo del resto ha, con le dimissioni di Benedetto XVI, iniziato a lambire anche la stessa carica di Sommo Pontefice.
  3. Quello che può lasciare perplessi sarebbe un automatismo rigido nella applicazione di questa regola. Perché, essendo la Chiesa tutta ultimamente un carisma, cioè un Avvenimento, che in quanto tale è imprevedibile e non totalmente istituzionalizzabile, meno si istituzionalizza con regole rigide, meglio è. Per carità, delle regole sono necessarie e utili. Come lo è la regola per il singolo credente: è bene non concedersi troppo deroghe da quanto uno si è impegnato a osservare, ad esempio il quarto d’ora in ginocchio. Ma qualsiasi regola deve essere dentro l’orizzonte di un rapporto vivente, un rapporto con una Persona, Cristo, che nessuna regola può esaurientemente contenere o “produrre”. Vedremo come la cosa verrà spiegata e applicata.
  4. Faccio ora una ipotesi. Ho detto prima che questa decisione non può essere interpretata come espressione di un castigo papale verso Carron. Questo però non toglie che essa potrebbe essere comunque in relazione alle contestazioni che Carron ha subito. E avrebbe allora il senso di una sfida, una sfida proprio ai “nemici” (di Carron e quindi suoi): “ah sì, volete più democrazia? Bene, vi accontento. Per adesso lascio che voi mi “mangiate” l’alfiere, o la torre, o la regina, ma così vi preparo a subire lo scacco matto”. La scelta di immettere ampie quote di democrazia nella Chiesa, infatti, se voluta dagli ultraconservatori per sbarazzarsi di certi leader troppo progressisti, potrebbe facilmente ritorcersi contro di loro: ve lo immaginate un bel Concilio Ecumenico Vaticano III, che apporti significativi ritocchi a quelli che gli ultraconservatori considerano “principi non-negoziabili”? E non potrebbero dir niente, perché, nel caso in cui questa decisione fosse una risposta a una loro insofferenza verso certe leadership, a chiedere più democrazia sarebbero stati proprio loro.


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