mercoledì 23 giugno 2021

un intervento che suscita perplessità

Qualche riflessione a caldo sulla nota consegnata il 17/06/2021 dalla Segreteria di Stato vaticana per chiedere modifiche al DDL Zan.

un passo falso

«3. È garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.» (art.2 comma 3 del Concordato del 1984).

Se lo Stato italiano violasse il Concordato, la Chiesa avrebbe il diritto di farlo presente e di chiederne il rispetto. 

Ma qual è il senso della libertà di «manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»? Che cosa è questo «pensiero» che deve potersi manifestare liberamente? E’ il pensiero dei «cattolici», viene detto: ma questa espressione non può significare che deve essere garantita libertà di espressione di qualsiasi pensiero che a qualsiasi sedicente cattolico passi per la testa. Altrimenti uno si potrebbe dire cattolico e dire che è giusto impiccare gli Ebrei a testa in giù e dovrebbe essere lasciato libero di dirlo, per il solo fatto che si dice cattolico. 

E’ allora sottinteso che «il pensiero» a cui deve essere garantita la libertà di manifestazione non è il pensiero di chiunque si dica cattolico, ma un pensiero certificato come cattolico dalla autorità gerarchica della Chiesa. O meglio ancora, dovrebbe essere un pensiero che sia essenziale alla fede cattolica. Perché può accadere che sul non-essenziale ci sia ad esempio divergenza tra vescovo e vescovo, tra teologo e teologo.

Il DDL Zan pretende di mettere un bavaglio alla Chiesa su un punto essenziale della fede cristiana? Ciò è controverso: anzitutto è controverso il fatto che tale legge metta in generale un bavaglio, in secondo luogo la tematica della diversità sessuale è oggetto di dibattito all’interno della Chiesa e non mancano teologi e vescovi che ritengono che l’idea di assoluta intollerabilità di una relazionalità non procreativa non sia essenziale alla fede, ma sia un portato storico, che, a lungo creduto assoluto, come già accaduto con il geocentrismo, o il fissismo anti-evoluzionistico, o la democrazia, o la libertà religiosa, finirà poi con l’essere contestualizzato storicamente e almeno parzialmente superato. Si noti che parlo di «relazionalità», nel senso suggerito dal nuovo Catechismo della Chiesa cattolica quando parla di una «amicizia disinteressata» (§2359).

Ma questo è un problema teologico, di competenza non statale. Il fatto tuttavia che all’interno della stessa Chiesa se ne discuta, tra teologi e tra vescovi (si pensi ai vescovi tedeschi), qualche dubbio sul fatto che si tratti di un punto essenziale lo dovrebbe suscitare.

Questo dovrebbe spingere a una ulteriore considerazione, più radicale e decisiva, che vediamo nel seguente punto, ossia l’idea che debba essere garantita alla Chiesa, per disposizione concordataria, una libertà che non deve essere garantita ad altri.

un equivoco

Può un Concordato garantire “libertà per la Chiesa” (riassumiamo così il testo, che parla di «cattolici» e «loro associazioni e organizzazioni»)? Perché mai “per la Chiesa”? E per tutte le altre ragionevoli (Rawls) comprehensive communities, per tutte le altre concezioni che accettano la democrazia, no? 

La libertà deve esserci per tutti. Che senso ha specificare «per la Chiesa»? A me pare che questo sia una specificazione o inutile o fuorviante. Inutile se già, come dovrebbe, la libertà è garantita a tutti. Fuorviante e antidemocratica, se implica che alla Chiesa sia riconosciuta una libertà che ad altri non viene riconosciuta.

Questo andrebbe chiarito, proprio a livello di Concordato. Ritoccando, al limite unilateralmente, il concetto di libertà per la Chiesa

La libertà o è per tutti (almeno per tutti coloro che accettano le regole democratiche costituzionali) o non è per nessuno.

Sono altre le questioni che un Concordato dovrebbe normare: ad esempio il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio religioso, o esenzioni fiscali degli immobili ecclesiastici e simili. Ma la libertà di espressione è un bene di tutti, non della sola Chiesa.

Questo non significa che il DDL Zan vada senz’altro bene. Ma se non va bene, è perché al limite lede la libertà di espressione di tutti, non perché lede la libertà di espressione della Chiesa. Che non ha diritto di chiedere di essere più uguale degli altri.

Per questo la nota della Segreteria di Stato vaticana appare come un passo falso, che potrebbe spingere a una modifica del Concordato.

il punto

Il DDL Zan impone come democraticamente irrinunciabile, e quindi non negabile senza incorrere in sanzioni, qualcosa che confligge in modo grave con visioni antropologiche ragionevoli

Una visione antropologica ragionevole in uno Stato costituzionale democratico è tale se non lede i principi costituzionali fondamentali, tra cui quelli di eguaglianza, dignità e libertà dei cittadini. Bisogna vedere. Argomentando e dialogando in modo non istericamente ostruzionistico e demagogicamente barricadero. 

Se lo facesse sarebbe giusto stralciare da esso quei punti che cadono in questo errore. 

In questo senso una riflessione non può certo far male, superando da un lato il miope ostruzionismo di chi nega la stessa esistenza di un problema di discriminazione e di vessazione (la stessa CEI, parlando recentemente di dialogo, ha chiesto di superare questo accartocciamento barricadero), e d’altro lato il non meno miope irrigidimento ideologico di chi pretende di istituzionalizzare qualcosa di teorico e non largamente condiviso e non poggiante sui principi costituzionali fondamentali, come una dicotomia tra identità psichica e realtà fisiologica, col rischio di generare gravi confusioni. 

Una buona legge contro le discriminazioni dovrebbe teorizzare il meno possibile in termini di concezioni antropologiche, tanto più se pretende di fissare visioni antropologiche che non siano largamente condivise e saldamente ed evidentemente poggianti sui principi costituzionali fondamentali di eguaglianza, dignità e libertà. Teorizzare il meno possibile e puntare tutto sulla prevenzione di fatti di vessazione e discriminazione pratichefattuali, effettive, esistenziali.

Quindi: spazio a un serio dialogo e a uno sereno confronto sulla base di argomenti, e non di slogan.



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