martedì 15 febbraio 2022

Dopo Carron, un nuovo don Giussani?

Ho letto su Facebook di una persona, del Movimento, che dopo aver sentito parlare mons. Santoro alla Scuola di comunità online, ha detto di aver “sentito di nuovo la terra sotto i piedi” (cito a memoria, ma con buona approssimazione).

Ora io invece dico che dobbiamo abituarci all’idea che non è detto che la Provvidenza ci manderà, per guidarci, un nuovo don Giussani. Può benissimo darsi che non ce lo mandi. Così come non ha mandato a guidare i francescani, dopo la morte del Fondatore, un nuovo S.Francesco, o a guidare i benedettini un nuovo S.Benedetto, o a guidare i gesuiti un nuovo S.Ignazio.

Dire che è possibile che la Provvidenza non mandi un nuovo don Giussani, significa che dobbiamo prendere atto che autorità e autorevolezza sono due cose distinte, e che non possiamo pretendere che chi ha l’autorità (per così dire istituzionale) di guidare il Movimento abbia la stessa autorevolezza di don Giussani. Lo stesso Carron, che pure per me è stato autorevole, non aveva la stessa carismaticità di don Giussani. Ed è possibile che nemmeno chi verrà dopo di lui ce l’abbia, anzi magari ne avrà ancora di meno.

Di conseguenza bisogna prendere sul serio il concetto di responsabilizzazione a cui il decreto del Dicastero ci ha richiamato: il carisma è affidato alla responsabilità di tutti, di tutte le persone del Movimento. L’autorevolezza non è più garantita nelle mani di una sola, suprema, monarchica, infallibilmente e indefettibilmente autorevole, autorità, ma è in qualche modo diffusa, partecipata, collegiale, fraterna, “sinfonica” (direbbe von Balthasar).

Questo non significa confondere i ruoli, né significa che adesso diventiamo “cristiani adulti”, che si autogestiscono: un “cristiano adulto” è uno che non dipende (da niente di concreto, di visibile). Noi invece dobbiamo voler dipendere. Il carisma c’è, è qualcosa di concreto, e va seguito. Il carisma è un dato, che non possiamo manipolare a piacimento. I testi del Giuss sono lì, la comunità è lì, e, certo, anche l’autorità è lì, «se Dio vorrà». E’ lì, ma non potrà pretendere di vedersi riconosciuta una autorevolezza solo per il fatto di essere autorità; un tale riconoscimento se lo dovrà guadagnare sul campo; e dovrà cercare il più possibile di esercitare la sua funzione nel modo più umile e collegiale possibile. Il che non vuole dire dare ragione a tutti, ma dare ragioni a tutti. Ragioni di quello che si dice e si fa. Senza pretendersi infallibilmente ispirato dallo Spirito Santo in ogni dettaglio di quanto pensa, dice e fa.

Se c’è un appunto metodologico che mi sento di fare alla conduzione Carron, al quale peraltro va tutta la mia più sincera e più affettuosa stima, ma che su 100 cose, di cui almeno 90 giuste, qualcuna ne può ben aver sbagliato – mi perdoni Iddio se sbaglio – è di aver tirato dritto sulla sua strada, senza argomentare quali fossero le sue ragioni a chi lo criticava. Sopportava senza batter ciglio di essere trafitto come un San Sebastiano, senza mai rispondere pubblicamente a chi, pubblicamente, lo criticava, se non con fugaci e stringati accenni. Ma, ahinoi, era forse questo il modo migliore di reagire? Ne dubito. Perché significava, oggettivamente, al di là delle intenzioni, che non dubito siano state ottime, non riconoscere all’altro, che ti avanza delle obiezioni, la dignità di essere umano raziocinante, e perciò capace di dialogo e meritevole in quanto tale di essere preso sul serio. Se anche tali obiezioni fossero state arzigogoli dialettici astratti, causati da una mancanza di esperienza, sarebbe comunque stato giusto rispondervi nel merito. Come infatti faceva don Giussani coi suoi studenti del Berchet che lo criticavano (ed è da lì, dalle loro obiezioni, a cui lui rispondeva nel merito, non limitandosi a dire «dovete fare esperienza», che sono nati i volumi del PerCorso). Rimando al riguardo a quanto ho scritto sul benaltrismo.



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