Citiamo un recente contributo di Vito Mancuso, che ci trova ampiamente daccordo:
"Gli scienziati contemporanei che sostengono che è necessario saper
dare un nome in positivo al motore dell’evoluzione, tendono a superare
(non a negare, ma ad assumere per procedere oltre) il darwinismo.
Ho già ricordato Fritjof Capra, il quale scrive: Invece di considerare
l’evoluzione come il risultato di mutazioni casuali e selezione
naturale, stiamo cominciando a renderci conto del fatto che il
dispiegarsi creativo della vita nella forma di una molteplicità e
complessità sempre crescenti è una caratteristica intrinseca di tutti i
sistemi viventi. Benché si riconosca ancora il ruolo importante delle
mutazioni e della selezione naturale nell’evoluzione biologica,
l’attenzione si canalizza sulla creatività, sul protendersi costante
della vita verso la novità. (La rete della vita 246)
Capra si
rifà a biologi quali Stuart Kauffman del Santa Fe tute nel New Mexico
(“Molto dell’ordine che osserviamo negli organismi è probabilmente il
diretto risultato non della selezione naturale ma dell’ordine naturale
su cui la selezione ebbe il privilegio di agire... l’evoluzione è
ordine”) e sopratutto Lynn Margulis della Universiy of Massachusetts, la
quale dopo anni di studi sui mitocondri, è giunta alla conclusione “la
vita non prese il sopravvento del globo con la lotta, ma istituendo
interrelazioni”. Ecco comparire il nome della legge fondamentale della
natura: relazione (il significato peculiare di logos). Anche la recente
scoperta dei neuroni specchio da parte della scienza italiana a mio
avviso dimostra che la legge fondamentale della natura-physis è la
relazione: “Le scoperte sul sistema specchio ci dicono in sostanza che
siamo altruisti… Esiste, un meccanismo di base fisiologico in cui la
felicità altrui è anche la propria”, ha dichiarato Giacomo Rizzolatti,
il principale protagonista dell’importante scoperta neurologica.
Ancora Rizzolatti: “Se guardiamo dentro il nostro cervello vediamo che
prevalgono le ragioni della comunanza: sono queste ad essere state
premiate dall’evoluzione”.
L’evoluzionismo nella sua accezione
classica non è in grado di nominare questa logica positiva relazionale
della natura perché non la conosce, conosce solo la logica negativa, e
anzi vede ogni affermazione di positività e di finalità relazionale
all’interno della natura come pericolosa intromissione dogmatica. Queste
parole di Telmo Pievani ne sono un esempio: L’evoluzione non è
automaticamente associabile all’idea di progresso, ma a quella ben più
generale di “cambiamento”. Darwin fu bene attento a non confondere la
sua teoria con una dottrina del progresso: la contingenza ambientale
dell’adattamento e la casualità della variazione gli impedivano di
accettare una direzionalità o un qualsiasi piano di sviluppo
nell’evoluzione.
Il piano di sviluppo nella natura invece esiste e
si chiama relazione, web, come dice Capra che ha scritto appunto The
Web Life, o anche logos, il modo classico con cui la mente umana ha da
sempre visto e nominato il fenomeno che oggi chiamiamo web. La logica
che muove la vita è la relazione ordinata.
Ritengo che, in questa
prospettiva, si possa e si debba tornare a parlare di finalità della
natura-physis, di una teleologia inscritta nell’essere naturale,
coincidente con lo stesso presentarsi dell’essere-energia, già da sempre
in essa presente. Il fine (in greco, telos) è intrinseco alla
natura-physis, come sapeva Aristotele che parlava del cosmo come di una
entelechia, di qualcosa cioè che ha il telos in se stesso, senza che vi
sia bisogno di interventi soprannaturali e miracolosi che ve lo
immettano dall’alto.
L’evoluzionismo interpreta l’evoluzione
negando che essa abbia una direzione e un fine, e pone il nesso caso+
selezione naturale quale supremo signore del processo evolutivo. Ne
viene che, siccome il processo evolutivo è il grande ventre dentro cui
la natura-physis mi ha portato all’essere, secondo la prospettiva
evoluzionistica la mia vita non avrebbe alcuna direzione e finalità se
non quella che io (ma con quale criterio non si sa) le vorrò dare.
Venendo dal caso, non ho alcun punto fermo naturale a cui riferire la
mia coscienza, ho solo la cultura degli uomini, che non è propriamente
un sinonimo di stabilità: il Novecento docet.
La posta in gioco
non è costituita da mere disquisizioni accademiche. Visto che noi siamo
natura-physis, se la natura-physis non ha una finalità, siamo noi a
ritrovarci senza finalità, e quindi senza una base su cui costruire
stabilmente l’etica, il senso del bene e della giustizia, come appare
dalle discussioni di ogni giorno di noi postmoderni occidentali per i
quali “tutto è relativo”, relativo spesso solo al nostro Io e ai suoi
capricci. Se si pensa che la natura sia “una madre così potente ma
‘priva di ragione’”, come scrive Orlando Franceschelli, illustre
rappresentante del neodarwinismo italiano, com’è possibile poi fondare
quella “umana saggezza” che sta a cuore allo stesso filosofo? Se la
natura è priva di ragione, da dove viene in noi, che siamo solo natura,
la ragione capace di “saggezza solidale”? O tale saggezza solidale è
una convenzione culturale senza fondamento in re e quindi in balìa
dell’arbitrio, oppure si tratta di un dono soprannaturale, come vuole
l’impostazione religiosa di stampo agostiniano che ha bisogno di
abbassare l’uomo naturale per innalzare Dio. Io non accetto né l’una né
l’altra soluzione, e penso che sia la natura stessa ad avere in sé un
principio di ordine relazionale che nella ragione umana trova il suo
coronamento come “saggezza solidale”. Se però la natura è quella che
descrive Darwin, l’unico esito logico è la volontà di potenza di
Nietzsche (attento lettore di Darwin), non certo la “saggezza solidale”.
(da L’anima e il suo destino, pp. 14-19)."
Molto interessante l'articolo che parla del gioco e delle sue implicazioni sull'ultimo numero di Focus, ve lo consiglio!
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